Le emissioni dei forni ad arco elettrico
L’impatto climatico delle macchine al centro della siderurgia del futuro
I forni ad arco elettrico rappresentano un pilastro dell’industria siderurgica. Coprono oggi il 28% della produzione mondiale di acciaio e si collocano alla base dei processi di riciclo dei rottami ferrosi. Alla luce dei volumi annualmente processati da questi avanzati dispositivi, i forni ad arco elettrico sono le più grandi macchine di riciclo mai costruite.
La produzione di acciaio da forno elettrico ha emissioni di circa 10 volte inferiori rispetto alla produzione da altoforno: si passa infatti da un valore intorno alle 2 tonnellate di CO2 per tonnellata di acciaio per i processi che partono da minerale, ai soli 200 kg di CO2 per le macchine che riciclano i rottami ferrosi. Tale aspetto spiega l’attuale spinta al dispiegamento massiccio di questa soluzione in sostituzione degli altiforni, coerentemente con gli obiettivi di decarbonizzazione del settore siderurgico.
L’installazione di nuovi forni elettrici avverrà primariamente nel contesto europeo, nord-americano e, soprattutto, cinese. Tutto ciò compatibilmente dapprima con la disponibilità di rottame e successivamente di cariche metalliche decarbonizzate.
La transizione energetica vedrà quindi l’ascesa di questa tecnologia e imporrà con crescente importanza uno sforzo per decarbonizzare quanto più possibile l’impatto climatico dei forni ad arco elettrico. È quindi prioritario identificarne le diverse fonti di emissioni e definire dei piani d’azione.
I forni ad arco elettrico funzionano nella loro configurazione più diffusa mediante l’alimentazione a intervalli precisi di ceste cariche in rottame ferroso. Una volta che è all’interno del forno, il materiale viene fuso grazie all’azione di un arco elettrico scoccato tra degli elettrodi in grafite e il rottame stesso.
Nel corso del processo l’arco elettrico è assistito nella fase iniziale della fusione da bruciatori perimetrali, solitamente alimentati con gas naturale.
Un volta che sono state caricate tutte le ceste e l’acciaio è pressoché completamente fuso, inizia una fase di affinazione in cui, mentre l’acciaio continua a essere riscaldato fino alla temperatura di spillaggio, grazie all’aggiunta di scorificanti (calce e dolomite) e all’insufflazione di ossigeno si va a rimuovere le specie chimiche indesiderate presenti nel rottame. Queste vengono raccolte nella scoria, una miscela di ossidi che galleggia al di sopra del bagno metallico. Una volta terminata la fase di affinazione e raggiunta la temperatura desiderata, l’acciaio è spillato dal forno per essere inviato alle successive lavorazioni.
Nonostante si tratti di un processo profondamente distante rispetto a quanto avviene negli altiforni, anche i forni ad arco elettrico non possono rinunciare all’uso del carbone.
Un primo utilizzo del carbone è associato al suo caricamento in pezzatura grossolana insieme al rottame ferroso. Tale approccio mira ad apportare atomi di carbonio alla lega metallica e fornire al rottame sia energia che protezione dall’ossidazione durante il processo fusorio.
Un secondo utilizzo del carbone è quello legato alla sua insufflazione in scoria. Una volta entrati nella fase di affinazione, è fondamentale gonfiare la scoria mediante l’introduzione al suo interno di fini particelle di carbone. La scoria schiumosa così generata va a coprire l’arco elettrico e il bagno metallico, generando una serie di benefici quali un minor consumo di energia elettrica, una riduzione dei tempi del processo, un minor consumo e minor stress delle pareti del forno, una riduzione del consumo degli elettrodi, una maggiore facilità nella rimozione della scoria dal forno, una riduzione nella dissoluzione di azoto nel bagno metallico, una minor rumorosità in stabilimento e una maggiore stabilità dell’arco elettrico. Tali molteplici effetti sono accompagnati da un’azione riducente del carbone, cosa che porta al recupero di prezioso ferro metallico che andrebbe altrimenti perso sotto forma di ossido con la scoria.
Guardando al processo nel suo complesso, la principale fonte di emissioni è tipicamente dovuta al consumo di energia elettrica. L’impatto di tale consumo è funzione dell’intensità di carbonio dell’elettricità e nel contesto europeo pesa mediamente circa 100-150 kg di CO2 per tonnellata di acciaio. Vantaggiosamente, i forni ad arco elettrico possono, e potranno sempre di più in futuro, trarre vantaggio dal fatto che la produzione di potenza elettrica può essere progressivamente decarbonizzata mediante tecnologie consolidate e in rapida espansione quali, a titolo d’esempio, pannelli fotovoltaici, turbine eoliche e soluzioni di accumulo.
Per quanto riguarda le emissioni dirette, che ricadono quindi all’interno del perimetro aziendale e che impattano per circa 50-100 kgCO2 per tonnellata di acciaio, il tema è più complesso.
L’uso del carbone, sia esso caricato in cesta o insufflato, risulta nel problema principale e rappresenta tipicamente oltre il 50% delle emissioni dirette. Per quanto riguarda la carica in cesta, lo sforzo principale è innanzitutto quello di minimizzare il ricorso a tale pratica, studiando nel contempo l’utilizzo di materiali alternativi di origine biogenica. Per quanto riguarda l’insufflazione, data l’importanza di tale processo, il tema è molto più complesso. In questo contesto si inserisce ad esempio lo sforzo di Pipex Energy, start up in cui Pipex Italia ha creduto e investito nel 2021. Pipex Energy mira infatti alla creazione dell’agente schiumogeno e riducente più sostenibile, risolvendo i problemi riscontrati in decenni di sperimentazioni di materiali alternativi al carbon fossile e rendendo finalmente possibile l’introduzione del biocarbone, un materiale rinnovabile, nei forni ad arco elettrico.
La seconda voce di emissione diretta è solitamente associata al consumo dei bruciatori. La sostituzione del gas fossile con l’idrogeno è proposta come un’immediata alternativa. Ciò si scontra però con i problemi tecnici ed economici dati dal mettere a disposizione del forno una fornitura di idrogeno a basse emissioni. A meno di soluzioni basate sull’acquisto di forniture di gas rinnovabili, quali il biometano, la decarbonizzazione dei bruciatori appare come una tema da affrontarsi sul lungo periodo.
È invece difficile agire su altre voci di emissioni dirette. Il consumo degli elettrodi in grafite è ad esempio inevitabile durante il processo fusorio ed è complesso arrivare a sostituire le fonti fossili usate nella realizzazione di questi componenti con materiali climaticamente neutrali. A questo si aggiungono voci di emissione come la decarburazione dell’acciaio dovuta all’insufflazione di ossigeno o la decomposizione dei carbonati negli scorificanti.
Al fine di avere una visione complessiva delle emissioni del processo bisogna poi considerare quelle imputabili alla produzione delle materie prime introdotte. L’estrazione e l’eventuale lavorazione del carbone ha un suo significativo impatto ambientale. L’ossigeno, la calce, i refrattari e ogni altro materiale consumabile hanno un’impronta carbonica legata al rispettivo processo produttivo. Tra le emissioni incorporate nelle materie prime la più rilevante è però quella associata alle cariche metalliche vergini, alle ferroleghe o ad altri alliganti che possono essere addizionati al processo. Il rottame ad esempio, data la sua provenienza e variabile natura, può trascinare con se degli elementi inquinanti che i processi di affinazione non riescono a rimuovere. L’unica soluzione è quindi quella di ridurne il contenuto introducendo delle cariche metalliche vergini quali la ghisa o il preridotto. In funzione delle quantità utilizzate, tali cariche possono impattare in termini emissivi più di quanto non facciano le emissioni dirette o l’elettricità. Lo sviluppo di cariche metalliche decarbonizzate, come ad esempio il preridotto ottenuto con l’idrogeno, non è quindi solo fondamentale per la transizione ecologica della produzione di acciaio a partire dai minerali ferrosi, ma anche per migliorare il profilo ambientale dei forni ad arco elettrico.
Nell’ottica di una minimizzazione dell’impatto climatico dei forni ad arco elettrico lo sforzo immediato deve quindi essere rivolto all’utilizzo di elettricità a basse emissioni e allo sviluppo di pratiche fusorie che riducano le emissioni dirette. Guardando a quest’ultimo aspetto, dopo aver efficientato il processo, la sfida su cui concentrarsi da subito è lo sviluppo e l’adozione di tecnologie per sostituire il carbone. Ciò è importante non solo alla luce della rilevanza che tale pratica avrà con il crescere del numero di forni ad arco elettrico, ma anche per i maggiori consumi per tonnellata di acciaio associati alla diffusione di forni a carica continua e all’uso del preridotto. Il percorso di riduzione delle emissioni potrà poi essere completato sul lungo periodo, primariamente con la commercializzazione di cariche metalliche vergini decarbonizzate. Ciononostante vi sarà una residuale presenza di emissioni su cui sarà difficile agire. Dal punto di vista dei cambiamenti climatici e dell’accumulo di gas climalteranti in atmosfera tale consapevolezza deve stimolare l’urgenza ad agire da subito sulle fonti di emissione su cui è possibile intervenire.
Il quadro sin qui descritto mette in luce come la decarbonizzazione dei forni ad arco elettrico, e quindi di una tecnologia indispensabile per la transizione ecologica, passi per la produzione di energia pulita, massicci investimenti per ammodernare o realizzare complesse realtà industriali e, da ultimo, lo sviluppo e l’adozione di nuove tecnologie. Alla luce della sfida che abbiamo dinnanzi, sarà compito dei regolatori e del mercato sostenere e supportare le acciaierie in questa trasformazione. Il percorso è complesso e dovrà essere il più rapido possibile. La visione su come si debba agire è però chiara e spetta a noi operatori siderurgici adoperarci per vincere una partita contro i cambiamenti climatici che l’umanità non può permettersi di perdere.
Articolo scritto da:
Luca Orefici
Green Manager
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